[Testo]
[700a] ΑΘ. οὐκ ἦν, ὦ φίλοι, ἡμῖν ἐπὶ τῶν παλαιῶν νόμων ὁ δῆμός τινων κύριος, ἀλλὰ τρόπον τινὰ ἑκὼν ἐδούλευε τοῖς νόμοις. ΜΕ. ποίοις δὴ λέγεις; ΑΘ. τοῖς περὶ τὴν μουσικὴν πρῶτον τὴν τότε, ἵνα ἐξ ἀρχῆς διέλθωμεν τὴν τοῦ ἐλευθέρου λίαν ἐπίδοσιν βίου. διῃρημένη γὰρ δὴ τότε ἦν ἡμῖν ἡ μουσικὴ κατὰ εἴδη τε [700b] ἑαυτῆς ἄττα καὶ σχήματα, καί τι ἦν εἶδος ᾠδῆς εὐχαὶ πρὸς θεούς, ὄνομα δὲ ὕμνοι ἐπεκαλοῦντο· καὶ τούτῳ δὴ τὸ ἐναντίον ἦν ᾠδῆς ἕτερον εἶδος—θρήνους δέ τις ἂν αὐτοὺς μάλιστα ἐκάλεσεν—καὶ παίωνες ἕτερον, καὶ ἄλλο, Διονύσου γένεσις οἶμαι, διθύραμβος λεγόμενος. νόμους τε αὐτὸ τοῦτο τοὔνομα ἐκάλουν, ᾠδὴν ὥς τινα ἑτέραν· ἐπέλεγον δὲ κιθαρῳδικούς. τούτων δὴ διατεταγμένων καὶ ἄλλων τινῶν, οὐκ ἐξῆν ἄλλο [700c] εἰς ἄλλο καταχρῆσθαι μέλους εἶδος· τὸ δὲ κῦρος τούτων γνῶναί τε καὶ ἅμα γνόντα δικάσαι, ζημιοῦν τε αὖ τὸν μὴ πειθόμενον, οὐ σῦριγξ ἦν οὐδέ τινες ἄμουσοι βοαὶ πλήθους, καθάπερ τὰ νῦν, οὐδʼ αὖ κρότοι ἐπαίνους ἀποδιδόντες, ἀλλὰ τοῖς μὲν γεγονόσι περὶ παίδευσιν δεδογμένον ἀκούειν ἦν αὐτοῖς μετὰ σιγῆς διὰ τέλους, παισὶ δὲ καὶ παιδαγωγοῖς καὶ τῷ πλείστῳ ὄχλῳ ῥάβδου κοσμούσης ἡ νουθέτησις ἐγίγνετο. [700d] ταῦτʼ οὖν οὕτω τεταγμένως ἤθελεν ἄρχεσθαι τῶν πολιτῶν τὸ πλῆθος, καὶ μὴ τολμᾶν κρίνειν διὰ θορύβου· μετὰ δὲ ταῦτα, προϊόντος τοῦ χρόνου, ἄρχοντες μὲν τῆς ἀμούσου παρανομίας ποιηταὶ ἐγίγνοντο φύσει μὲν ποιητικοί, ἀγνώμονες δὲ περὶ τὸ δίκαιον τῆς Μούσης καὶ τὸ νόμιμον, βακχεύοντες καὶ μᾶλλον τοῦ δέοντος κατεχόμενοι ὑφʼ ἡδονῆς, κεραννύντες δὲ θρήνους τε ὕμνοις καὶ παίωνας διθυράμβοις, καὶ αὐλῳδίας δὴ ταῖς κιθαρῳδίαις μιμούμενοι, καὶ πάντα εἰς πάντα συνάγοντες, [700e] μουσικῆς ἄκοντες ὑπʼ ἀνοίας καταψευδόμενοι ὡς ὀρθότητα μὲν οὐκ ἔχοι οὐδʼ ἡντινοῦν μουσική, ἡδονῇ δὲ τῇ τοῦ χαίροντος, εἴτε βελτίων εἴτε χείρων ἂν εἴη τις, κρίνοιτο ὀρθότατα. τοιαῦτα δὴ ποιοῦντες ποιήματα, λόγους τε ἐπιλέγοντες τοιούτους, τοῖς πολλοῖς ἐνέθεσαν παρανομίαν εἰς τὴν μουσικὴν καὶ τόλμαν ὡς ἱκανοῖς οὖσιν κρίνειν· ὅθεν δὴ τὰ [701a] θέατρα ἐξ ἀφώνων φωνήεντʼ ἐγένοντο, ὡς ἐπαΐοντα ἐν μούσαις τό τε καλὸν καὶ μή, καὶ ἀντὶ ἀριστοκρατίας ἐν αὐτῇ θεατροκρατία τις πονηρὰ γέγονεν. εἰ γὰρ δὴ καὶ δημοκρατία ἐν αὐτῇ τις μόνον ἐγένετο ἐλευθέρων ἀνδρῶν, οὐδὲν ἂν πάνυ γε δεινὸν ἦν τὸ γεγονός· νῦν δὲ ἦρξε μὲν ἡμῖν ἐκ μουσικῆς ἡ πάντων εἰς πάντα σοφίας δόξα καὶ παρανομία, συνεφέσπετο δὲ ἐλευθερία. ἄφοβοι γὰρ ἐγίγνοντο ὡς εἰδότες, ἡ δὲ ἄδεια ἀναισχυντίαν ἐνέτεκεν· τὸ γὰρ τὴν τοῦ βελτίονος [701b] δόξαν μὴ φοβεῖσθαι διὰ θράσος, τοῦτʼ αὐτό ἐστιν σχεδὸν ἡ πονηρὰ ἀναισχυντία, διὰ δή τινος ἐλευθερίας λίαν ἀποτετολμημένης.
[Apparato critico]
γένεσες MSS., edd.: γ᾿αἴνεσες (corr. Bury post Post)
[Traduzione]
[a] ATEN. Il nostro popolo, amici, nelle leggi antiche non era signore di nulla, ma invece ne era quasi il volontario servitore. MEG. A quali leggi ti riferisci? ATEN. Prima di tutto alle leggi sulla “musica” di allora, affinché così fin da principio possiamo seguire gli sviluppi della libertà eccessiva di vita. Da noi infatti allora la “musica” si distingueva in certi suoi aspetti [b] e figure e un certo aspetto del canto era costituito di preghiere agli dèi: si chiamavano col nome di ‘inni’; il suo opposto era un altro aspetto del canto (proprio questi si sarebbero dovuti chiamare thrènoi), e un altro erano i ‘peana’ e poi ce n’era un altro detto ‘ditirambo’, ed è la ‘nascita di Dioniso’, credo. Inoltre un’altra specie di canto chiamavano proprio con questo nome di ‘leggi’ come fosse diversa, e le dicevano ‘canti citaredici’. Fissati questi ed altri aspetti del canto, non era lecito servirsi [c] di uno al posto di un altro. Ma l’autorità di controllare queste cose e, conseguentemente alla ricognizione, di giudicare e poi di punire il ribelle non era di certo nei fischi né in certe urla scomposte della plebe, come ora è, e non erano i battimani che sancivano la lode: quelli che avevano una compiuta educazione era stabilito che ascoltassero in silenzio fino in fondo e gli altri, i bambini, i pedagoghi e la maggior parte della plebe, erano richiamati all’ordine da una verga che li teneva a posto. In queste cose, [d] secondo questa disciplina, la massa dei cittadini accettava d’esser diretta e non osava giudicare con lo strepito; ma poi coll’andar del tempo i poeti furono maestri di disordinate trasgressioni, poeti solo nel temperamento, ignoranti delle giuste norme di poesia, come baccanti più del dovuto trasportati dal piacere, e mescolavano i thrènoi agli inni e i peana ai ditirambi, imitavano la musica del flauto con quella della cetra e, confondendo tutto con [e] tutto, involontariamente esprimevano per stolta ignoranza menzogne sulla “musica”, che cioè la “musica” non ha una sua correttezza di nessun tipo e si possa ben giudicare dal piacere di chiunque lo provi, sia esso uomo onesto o disonesto, indifferentemente. Facendo simili opere, dicendo su di esse siffatti discorsi, hanno infuso nel popolo l’uso di trascurare le leggi sulla “musica” e la pretesa temeraria d’esserne buoni giudici; di conseguenza [701a] i teatri da silenziosi furono pieni di grida come fosse il pubblico ad intendere il bello e il non bello poetico e al posto dell’aristocrazia è sorta una cattiva teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte. Se infatti solo per essa fosse sorta una democrazia d’uomini liberi non sarebbe stato per nulla grave l’accaduto. Ma nel nostro stato ora si originò dalla “musica” l’opinione che tutti sappiamo tutto, e l’illegalità e per conseguenza la licenza. Come fossero tutti stati sapienti diventavano impavidi e l’audacia ingenerò l’impudenza. Non rispettare per temerarietà [b] l’opinione di chi è migliore, questo, non altro, direi, è la malvagia impudenza, nata da una libertà troppo spinta. [Trad. A. Zadro]
[Commento]
Il passo, tratto dal terzo libro delle Leggi, rispecchia e sintetizza la posizione critica di Platone nei confronti del modello politico ateniese a lui contemporaneo, per bocca dell’ospite ateniese che è uno dei personaggi del dialogo. Attraverso le parole dell’Ateniese, infatti, risulta chiara la posizione etico-politica e musicale di Platone: la pluralità e l’eterogeneità che caratterizzano la Nuova Musica non rispettano alcun principio che sia in armonia con i nomoi e in sintonia con un regime politico legale, ma riposano sull’apprezzamento edonistico – e del tutto arbitrario perché individualistico – del pubblico. La παρανομία instauratasi è così paradigma di sregolatezza non soltanto politica, ma anche etica e musicale. Detto in termini politico-sociali: la saggia estetica dei migliori (aristocrazia musicale: si ricordi che il regime migliore, ossia quello in cui viene raggiunto il fine della politica, secondo Platone è quello in cui «i migliori dominano la moltitudine», III, 626 b – 627 c) ha ceduto il posto ad un insano dominio della folla (θεατροκρατία τις πονηρά), cosicché il bello etico-musicale è stato soppiantato dal rumore e dai sensi. Il passo in questione è importante anche per quanto riguarda la riflessione sui generi. Come ricorda LeVen 2014, 63 ss., esso ha dato adito a due tipi di considerazioni da parte della critica moderna: da un lato, vi si constata la perdita del carattere rituale di taluni generi (soprattutto il ditirambo) che, svincolandosi da una mera destinazione sacrale e cerimoniale, si rivolsero verso contesti e forme esecutive che potremmo definire “da intrattenimento”; dall’altro, vi si deduce l’implicita denuncia – da parte di Platone – della conseguente ibridazione degli stessi generi della μουσική. L’ibridazione e la pluralità che si riscontrano in questo passo, sia sul piano politico che su quello musicale, cozzano con i principi sui quali si basa la Politeia di Platone: il πρέπον, ovvero ciò che conviene a ciascuno, l’οἰκειοπραγία, ovvero il rispetto da parte di ciascuno dei tre ordini nei confronti del proprio ruolo, ma soprattutto il principio dei βελτίονες, ovvero il principio dei migliori. Tale principio aristocratico, ovvero che il giudizio – sia in campo politico, che in campo musicale – spetta ai conoscitori, è ribadito dallo stesso Platone anche in altri contesti, come per esempio per bocca di Socrate (in dialogo con Melesia) nel Lachete (Plat. Lach. 184e). Sul termine θεατροκρατία, si veda la scheda corrispondente nella sezione Parole notevoli, s.v.
[Bibliografia]
S. GASTALDI, La «teatrocrazia»: cattiva educazione e degenerazione politica nelle “Leggi” di Platone, in Filosofia e politica: studi in onore di Girolamo Cotroneo, a cura di Furnari Luvarà G., Soveria Mannelli 2005, pp. 159-171; P. LEVEN, The Many-Headed Muse. Tradition and Innovation in Late Classical Greek Lyric Poetry, Cambridge 2014, 63ss.; A. ZADRO, C. Giarratano, F. Adorno, trad. di, Platone. Opere complete, Vol. VII (Minosse, Leggi, Epinomide), Roma-Bari 20015.
[Parole chiave]
Musica, teatrocrazia, rumore, demagogia estetico-musicale.
[Francesco Buè]