[Argomento] Cura della comunità: i peani catartici di Teleste di Selinunte

[Fonte] Aristox. fr. 117 Wehrli ap. Apollon. Hist. Mir. 40 (p. 53 Keller, p. 136 s. Giannini)

[Periodo] 350–300 BC

[Testo]

Ἀριστόξενος ὁ μουσικὸς ἐν τῷ Τελέστου βίῳ φησίν, ᾧπερ ἐν Ἰταλίᾳ συνεκύρησεν, ὑπὸ τὸν αὐτὸν καιρὸν γίγνεσθαι πάθη, ὧν ἓν εἶναι καὶ τὸ περὶ τὰς γυναῖκας γενόμενον ἄτοπον. ἐκστάσεις γὰρ γίγνεσθαι τοιαύτας, ὥστε ἐνίοτε καθημένας καὶ δειπνούσας ὡς καλοῦντός τινος ὑπακούειν, εἷτα ἐκπηδᾶν ἀκατασχέτους γιγνομένας καὶ τρέχειν ἐκτὸς τῆς πόλεως. μαντευομένοις δὲ τοῖς Λοκροῖς καὶ Ῥηγίνοις περὶ τῆς ἀπαλλαγῆς τοῦ πάθους εἰπεῖν τὸν θεὸν παιᾶνας ᾄδειν ἐαρινοὺς [δωδεκάτης] ἡμέρας ξ´, ὅθεν πολλοὺς γενέσθαι παιανογράφους ἐν τῇ Ἰταλίᾳ.

[Apparato critico]

δωδεκάτης exp. Müller et plerique Edd. (in mg cod. mendum lineola indicat): δώδεκα τῆς ἡμέρας <ἐπὶ ἡμέρας> ξ´ coni. West («CQ» 40, 1990, 286-287), δωδεκάτῃ prop. Catenacci («QUCC» n.s. 115, 2017, 67-71)

[Traduzione]

«Il musico Aristosseno nella Vita di Teleste, che incontrò in Italia, afferma che in quello stesso periodo, si verificarono prodigi, uno dei quali, straordinario, accaduto alle donne. Succedevano, infatti, casi di estasi tali che a volte, mentre erano sedute a pranzo, come se qualcuno le stesse chiamando, si disponevano all’ascolto; poi, divenute irrefrenabili, balzavano in piedi e correvano fuori dalla città. Ai Locresi e ai Reggini che consultarono l’oracolo per la liberazione dal prodigio, il dio prescrisse di cantare peani primaverili per sessanta giorni. Per questo motivo ci furono molti compositori di peani in Italia».

[Commento]

Nella testimonianza attribuita dal paradossografo Apollonio ad Aristosseno di Taranto è presente un esempio di cura della comunità durante il IV secolo a.C. nelle colonie magno-greche di Locri e di Reggio. Secondo Apollonio, Aristosseno, nella Vita di Teleste, avrebbe narrato un episodio molto singolare legato all’attività del ditirambografo Teleste di Selinunte, protagonista di rilievo della dirompente stagione poetico-musicale di V-IV secolo a.C. che va sotto il nome di ‘nuovo ditirambo’, insieme a Melanippide, Frinide, Timoteo e Filosseno (Fongoni 2024). Teleste fu certamente attivo ad Atene come testimoniato dal Marmor Parium che gli attribuisce la vittoria nell’agone ditirambico che aprì le Grandi Dionisie del 402/1 a.C. e fu ospite presso la corte di Aristrato di Sicione tra il 360 e il 355 a.C., ma, secondo Aristosseno, si recò anche nell’Italia meridionale. Come registrato nell’apparato critico, la testimonianza presenta un problema testuale relativo al termine δωδεκάτης, espunto da Müller e dalla maggior parte degli editori e reintegrato da West che propone di emendarlo in δώδεκα τῆς ἡμέρας <ἐπὶ ἡμέρας> ξ´: ‘dodici peani al giorno per sessanta giorni’, 720 peani complessivi, che spiegherebbe così, secondo lo studioso, il gran numero di autori di peani in Italia dichiarato nella conclusione della testimonianza aristossenica. Di recente Carmine Catenacci (2017) ha ipotizzato di correggere δωδεκάτης in δωδεκάτῃ: “il dio prescrisse di cantare peani primaverili al dodicesimo giorno per sessanta giorni”. In altri termini la cerimonia di canto doveva svolgersi per cinque volte nell’arco di sessanta giorni, cioè ogni dodici giorni, numero che ricorre molto spesso nel mondo greco, con una particolare valenza nel sistema rituale, magico e religioso e che, nello specifico contesto magno-greco, appare strettamente legato all’ambiente pitagorico. Se la cerimonia di purificazione si protraeva per tutta la giornata o per gran parte di essa, come conferma il passo del I libro dell’Iliade (472-474) nel quale i giovani Achei, al fine di placare Apollo, si esibiscono nell’esecuzione di un bel peana per un’intera giornata (πανημέριοι), cinque giornate dedicate al canto del peana nell’arco di due mesi giustificherebbero sia la presenza di molti compositori di peani sia l’esecuzione di un gran numero di brani, senza tuttavia giungere alla straordinaria cifra ipotizzata da West (1990).
Comunque, al di là della possibile conclusione autoschediastica della fonte, il contenuto è molto interessante e ricco di informazioni. Come rilevato anche da Wehrli (1967, 83), è cronologicamente poco probabile l’incontro tra Aristosseno e Teleste al quale la fonte allude, ma è chiaro che la testimonianza vuole collegare l’estasi delle donne con la composizione di peani da parte del ditirambografo.
Il peana, in età arcaica e classica, era un canto indirizzato per lo più ad Apollo, ma talora anche ad altre divinità, con la funzione fondamentale di invocare soccorso o ringraziare per uno scampato pericolo (Privitera 1972). Gli autori di ditirambi furono di norma anche compositori di peani e Teleste non fa eccezione: Rutherford (2014) avanza l’ipotesi che una sua opera intitolata l’Asclepio (fr. 806 Page/Campbell) fosse un peana, perché, oltre che ad Apollo, il peana fu dedicato ad altre divinità come Artemide, Asclepio, Zeus, Poseidone, Dioniso, Hygieia. Per comprendere la testimonianza di Aristosseno sull’epidemica insania delle donne reggine e locresi, si deve considerare che il peana ebbe anche un fine catartico e apotropaico. Come già anticipato, nel I libro dell’Iliade, proprio a proposito del peana, si sviluppa l’idea di una catarsi musicale, ovvero il principio secondo cui la musica è in grado di liberare dai mali. L’episodio è noto: in seguito all’oltraggio arrecato da Agamennone a Crise, sacerdote di Apollo e padre di Criseide, che l’Atride si rifiuta di restituire al padre, il dio scatena una terribile epidemia sul campo degli Achei. È l’indovino Calcante a suggerire il rimedio: oltre a restituire la ragazza e ad offrire un’ecatombe (308-311), è necessaria una purificazione generale degli Achei per liberarsi dalla contaminazione del male (313), prima di offrire sacrifici al dio e di gettare in mare i resti contaminati della stessa purificazione (314); sarà poi lo stesso Apollo a liberarli dal nousos, dopo che il suo sacerdote gli chiederà di porre fine all’epidemia (451-456). Gli Achei compiono dunque le prescrizioni rituali (458-468) e “quando poi si furono tolta la voglia di bere e mangiare, i ragazzi riempirono di bevanda i crateri e distribuirono a tutti, libato nelle coppe il primo vino; per tutto il giorno quelli col canto placavano il dio, intonando un bel peana, i figli degli Achei, e celebravano il Saettatore; questi, ascoltando, godeva in cuor suo” (469-474, trad. di G. Cerri). La performance del peana eseguita dai giovani Achei, espressa nel passo dell’Iliade con il termine molpè che implica un canto corale accompagnato dalla danza, ha l’effetto di rallegrare la divinità per porre fine all’epidemia. Quindi l’esecuzione protratta di peani in questa circostanza non ha una funzione terapeutica in sé, ma è uno strumento per placare Apollo e indurlo alla liberazione dall’evento rovinoso. In altri casi accade invece che l’esecuzione di peani produca un effetto terapeutico musicale in senso stretto. Si pensi, ad esempio, ai peani di Taleta di Gortina, musico cretese che fu chiamato dagli Spartani in occasione delle guerre messeniche, dietro consiglio dell’oracolo di Apollo, affinché, attraverso l’esecuzione dei suoi peani, li liberasse dal loimòs (pestilenza o stasis) che li affliggeva.
Il medesimo potere curativo e catartico dei peani di Taleta è presente anche nella tradizione pitagorica sull’uso terapeutico della musica. A partire dai Pitagorici nasce infatti la riflessione sull’efficacia psicagogica della musica, alla quale si riconosce un effetto curativo: attraverso la musica si possono gestire le emozioni e controllare i comportamenti individuali e il peana, per il suo potere terapeutico e catartico era eseguito maggiormente a primavera, stagione in cui si celebravano diverse cerimonie purificatrici (Provenza 2016, 129 ss.; 2022, 44-46). Nella Vita di Pitagora (110), Giamblico narra che, durante la primavera, i Pitagorici eseguivano un esercizio musicale: facevano sedere al centro un suonatore di lira e tutt’intorno si distribuivano i cantori che eseguivano dei peani, ritenuti fautori di gioia, armonia e ordine interiore. Testimonianza ulteriore di una maggiore diffusione del peana catartico in primavera, sono il I e il VI peana di Pindaro che sembrano essere stati composti per una festa primaverile (Rutherford 2001, 38), nonché alcuni versi elegiaci di Teognide (775 ss.) dai quali si apprende che a Megara venivano celebrate delle feste primaverili in onore di Apollo, che richiamavano le Teossenie delfiche (Hudson-Williams 1979, 225; Groningen 1996, 300 s.). Non si conoscono molti nomi di compositori di peani originari della Magna Grecia, ma un passo del De musica pseudoplutarcheo attribuisce peani agli autori della seconda katastasis musicale avvenuta a Sparta, tra i quali è annoverato anche Senocrito di Locri, mentre Timeo di Tauromenio (FGrHist 566 F 32 = test. 140 Käppel) ricorda che Stesicoro di Imera (PMG 212) e Dionisio di Siracusa (TrGF 76 T 8 Snell) composero peani. Sulla base di queste testimonianze si può immaginare dunque che esistessero delle feste musicali che si svolgevano in primavera nelle colonie greche occidentali durante le quali si eseguivano dei peani allo scopo di purificare i partecipanti. La testimonianza di Giamblico, infatti, e quella di Aristosseno hanno in comune non solo il luogo geografico di esecuzione, ovvero le colonie magno-greche, caratterizzate dalla presenza e dalla diffusione di comunità pitagoriche, ma anche l’importanza che le medesime attribuivano alla musica e, in particolare all’esecuzione di peani catartici primaverili. La testimonianza aristossenica su Teleste costituirebbe così l’attestazione più antica di un uso terapeutico della musica presso i Pitagorici. La prescrizione alle comunità locresi e reggine da parte dell’oracolo dell’esecuzione di peani è unica e, come rilevato anche da Delcourt (1981, 235) potrebbe essere stato un suggerimento proposto dagli stessi abitanti, un’offerta quasi obbligata ad Apollo, sulla base di una consuetudine e di un rituale affermatosi in seguito ad accordi intervenuti tra i Pitagorici delle due poleis. Ricordiamo che il legame tra Pitagora e l’oracolo delfico è attestato già nel racconto della sua nascita che fu preceduta proprio da una consultazione dell’oracolo da parte dei genitori, come attestato in Giamblico e in Diogene Laerzio (Delcourt 1981, 273 s.) e che Pitagora (VP 110-111) insieme ad altre terapie mediche, utilizzava la musica a scopo curativo e catartico, sia in primavera che in altri periodi dell’anno.
Molto significativa nella testimonianza aristossenica è inoltre la presenza delle donne e della loro manìa. Nelle comunità pitagoriche infatti, come emerge da un’altra testimonianza di Giamblico (VP 54-57), le donne erano sollecitate a mantenere una condotta moderata ed equilibrata, a rispettare il silenzio e a condurre una vita per lo più ritirata. Perciò l’atteggiamento folle assunto dalle donne reggine e locresi nella testimonianza aristossenica costituisce per le due comunità un elemento fortemente pericoloso e destabilizzante, in quanto le allontana dall’amministrazione dell’oikos, considerata una loro precipua prerogativa. L’esecuzione di peani catartici con la loro funzione purificatrice si rendeva dunque necessaria per ristabilire l’ordine precedente e reintegrare le donne nell’ambito delle rispettive comunità.

[Bibliografia]

C. CATENACCI, ‘“Peani al dodicesimo giorno per sessanta giorni” (Apollon. Hist. Mirab. 40=Aristox. fr. 117 Wehrli)’, QUCC n.s. 115, 2017, 67-71; M. DELCOURT, L’oracolo di Delfi, tr. it. Genova 19982; A. FONGONI, ‘La poetica di Teleste di Selinunte tra tradizione e innovazione’, FAeM n.s. VI, 1 (XXXIV, 57), 2024, 103-132; B. A. VAN GRONINGEN, Theognis. Le premier livre, Amsterdam 1996; T. HUDSON-WILLIAMS, The Elegies of Theognis and Other Elegies Included in the Theognidean Silloge, New York 1979; L. KAEPPEL, Paian. Studien zur Geschichte einer Gattung, Berlin-New York 1992; A. PROVENZA, La medicina delle Muse. La musica come cura nella Grecia antica, Roma 2016; EAD., Catarsi ed ethos. La musica tra formazione del carattere e cura dei mali nell’antica Grecia, Palermo 2022; I. RUTHERFORD, Pindar’s Paeans. A Reading of the Fragments with a Survey of the Genre, Oxford 2001; I. RUTHERFORD, Paeans, Italy and Stesichorus, in L. Breglia – A. Moleti (a cura di), Hesperia. Tradizioni, rotte, paesaggi, Paestum 2014, 131-135; G. A. PRIVITERA, ‘Il peana sacro ad Apollo’, Cultura e Scuola 41, 1972, pp. 41-49 (= C. CALAME (a cura di), Rito e poesia corale in Grecia. Guida storica e critica, Roma-Bari 1977, 17-24); F. WEHRLI Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentar, Heft II: Aristoxenos, Basel-Stuttgart 19672; M. L. WEST, ‘Ringing Welkins’, CQ 40, 1990, 286-287.

[Parole chiave]

Teleste, cura, catarsi, peani

[Adelaide Fongoni]